Agdp intervista il Segretario Generale della Presidenza del Consiglio cons. Roberto Garofoli

Magistrato del Consiglio di Stato e Codirettore nella Treccani Giuridica, é stato Capo Gabinetto del Ministro della Pubblica amministrazione, della semplificazione e delle riforme istituzionali, Coordinatore della Commissione ministeriale per l’elaborazione di misure per la prevenzione e il contrasto della corruzione, Capo dell’Ufficio legislativo del Ministro degli Affari esteri, Docente LUISS, Componente Commissione istituita dal governo presso il Consiglio di Stato per la elaborazione del Codice del processo amministrativo, entrato in vigore con d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, Componente del Centro nazionale per l’informatica presso la pubblica amministrazione (ex A.I.P.A.), Magistrato TAR, Magistrato penale.

Roberto Garofoli

Roberto Garofoli

Cons. Garofoli, Lei sta presiedendo la Commissione per l’elaborazione di misure di contrasto alla criminalità (istituita dal Presidente Letta), ha presieduto durante il Governo Monti la Commissione per l’individuazione di misure di prevenzione della corruzione, si sta occupando, in qualità di Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della spending in Presidenza: da dove vuole iniziare?

Partirei dal “già fatto”: quindi dal lavoro profuso, con i colleghi Raffaele Cantone ed Ermanno Granelli e con eccellenti esponenti dell’accademia (Mattarella, Merloni, Spangher), come Coordinatore della Commissione istituita dall’allora Ministro Patroni Griffi.

Partiamo dalla corruzione allora. La Commissione ministeriale per la prevenzione della corruzione da Lei coordinata ha prodotto un Rapporto da cui è stata tratta gran parte delle norme introdotte con la Legge Severino (per la parte non penale), con il D. Lgs. n. 33 del 2013 (in tema di trasparenza), con il D. Lgs. n. 39 del 2013 (in tema di inconferibilità di incarichi dirigenziali e incompatibilità). I primi risultati si vedono. L’Italia, secondo il rapporto 2013 di Trasparency International, migliora di tre posizioni. Un passo in avanti: ma cosa si può fare ancora secondo il percorso individuato dalla legge? Quali sono le lacune da colmare?

Quella classifica si riferisce alla percezione della corruzione, non alla corruzione reale: difficile pensare che questa sia già diminuita per effetto di norme entrate in vigore solo pochi mesi fa, per quanto importanti e per certi aspetti assai innovative.

E’ necessario piuttosto che le misure introdotte non siano vissute da nessuno, in specie dalle amministrazioni, come un peso burocratico, una complicazione amministrativa. Significherebbe decretare la morte di una politica di prevenzione della corruzione appena delineata e approvata: chi si fa portatore di idee e affermazioni di questo tipo deve sapere che assume una responsabilità storica. Deve sapere che in Italia siamo arrivati con enorme ritardo a maturare la convinzione della necessità di una organica politica di contrasto della corruzione, affidata non solo all’azione meritoria della magistratura, ma anche a misure di tipo amministrativo e preventivo. In altri Paesi, pure afflitti da livelli di diffusione della corruzione pubblica non più allarmanti di quelli nazionali, le politiche di contrasto sono state elaborate ed attuate già da decenni. La legge 6 novembre 2012, n. 190, quindi, certo da sé sola non risolutiva, rappresenta un passo in avanti rispetto all’immobilismo del passato, avviando una politica che ora tocca a noi tutti, con convinzione e determinazione, attuare e rafforzare.

Ci sono poi vuoti da colmare. Diverse le misure non previste, di indubbia utilità in un’ottica di prevenzione della corruzione: il ripensamento del rilievo da assegnare al merito, anche nel conferimento degli incarichi dirigenziali; la centralizzazione dei concorsi pubblici (anche quelli delle autonomie territoriali); l’introduzione di controlli randomizzati nelle amministrazioni; il rafforzamento della posizione statutaria del segretario comunale e provinciale, precarizzato e posto di fatto alle dipendenze dei “controllati”; il rafforzamento delle strutture amministrative preposte alla guida e all’attuazione della politica di prevenzione.

Tra le più significative misure di prevenzione della corruzione incluse nel pacchetto normativo approvato dal Governo Monti vi sono quelle in tema di trasparenza. Si da a tutti i cittadini la possibilità di avere accesso all’intero patrimonio informativo dell’amministrazione.

Ho sempre pensato che l’assoluta trasparenza delle amministrazioni è tra le principali armi con cui combattere -in un’ottica di prevenzione- fenomeni di sciatteria amministrativa e di diffusa indifferenza all’imperativo del rigoroso rispetto delle regole: fenomeni che certo hanno trovato nelle opacità dei meccanismi organizzativi e decisionali un fertile terreno.Occorre rendere pubblico e in chiaro tutto quello che l’amministrazione fa. Occorre anche abituarsi a vivere le critiche dei cittadini e dei giornalisti – che a piene mani giustamente fruiscono di questo nuovo sistema di condivisione del patrimonio informativo delle pubbliche amministrazioni- non necessariamente come attacchi ma come pungolo costante al miglioramento e alla razionalizzazione organizzativa e gestionale, all’eliminazione di criticità e anomalie che certo non mancano. Ebbene, la Presidenza del Consiglio è in prima linea nel dare attuazione rigorosa alle nuove norme in tema di trasparenza e accesso civico.

AGDP ha contribuito con proprie proposte al d.d.l Anticorruzione e alla stesura del Piano nazionale anticorruzione. In che modo la classe dirigente italiana può contribuire al contrasto del fenomeno?

La dirigenza pubblica deve essere il motore di questo processo di riforma radicale e culturale dell’amministrazione pubblica. Lo dico con grande convinzione: le recenti riforme in tema di prevenzione delle illegalità e quelle in gestazione in tema di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica sono tra le ultime grandi occasioni per ribaltare quella crisi (senza precedenti) di fiducia della cittadinanza nelle Istituzioni e nell’amministrazione. La burocrazia statale -termine che vedo troppo spesso impropriamente utilizzato in un’accezione fortemente negativa nel dibattito pubblico e mediatico- deve tornare ad esprimere non solo la professionalità di cui è certo munita ma anche quella passione etica che talvolta risulta appannata. Occorre tornare a credere vivamente nella propria missione pubblica: per la dirigenza questa missione, tanto più in questo momento, è quella di far funzionare l’amministrazione in modo imparziale, al servizio del Paese e di una cittadinanza in grande difficoltà, senza più nessun dispendio di risorse pubbliche al di fuori di quelle davvero necessarie per l’efficace attuazione delle politiche pubbliche. Tutto il resto deve essere messo a disposizione delle esigenze del Paese.

Ecco, cons. Garofoli, visto l’attuale contesto economico e finanziario del nostro Paese, la Presidenza del Consiglio ha avviato un ampio piano di razionalizzazione e revisione della spesa. Quali sono gli interventi?

Dai primi giorni in cui ho iniziato questa non semplice esperienza di Segretario Generale della Presidenza ho pensato di dover imprimere -e su questo ho sempre avuto il sostegno e la sollecitazione del Presidente Letta e del Sottosegretario Patroni Griffi- una fortissima accelerazione nell’avviare e concretamente attuare misure di reale razionalizzazione delle strutture e di conseguente riduzione della spesa. Confesso che non è un compito facile essendo la Presidenza una macchina complessa con meccanismi gestionali da mettere a punto e talvolta da ribaltare. In ogni caso, abbiamo già dopo pochi giorni dal mio insediamento, lanciato alcuni segnali. L’idea è stata quella della eliminazione di tutto quanto non sia davvero indispensabile per assicurare un efficiente ed adeguato svolgimento delle funzioni e servizi assegnati alla Presidenza: direi un basilare principio di “proporzionalità” applicato alla struttura organizzativa, anziché alla sola azione amministrativa.

Con alcune mie direttive di giugno abbiamo provveduto quindi ad una significativa contrazione degli aerei di Stato vendendone 3 di 10, con un valore ricavato di 50 milioni che il Presidente ha deciso di destinare alle esigenze della Protezione civile: nelle nostre stime i restanti 7 sono adeguatamente sufficienti a soddisfare le esigenze per le quali è prevista una flotta di Stato, tra cui -è bene ricordarlo- non solo gli spostamenti delle autorità politiche (sotto la attuale gestione ormai ridotti a numeri davvero esigui), ma anche quelli umanitari, sanitari e di sicurezza.

Abbiamo anche provveduto ad una significativa contrazione delle auto in dotazione alla Presidenza (16); è stata ridisciplinata l’intera materia delle missioni, con l’introduzione di condizioni molto rigorose.

Stiamo continuando su questa strada.

Abbiamo rivisto i criteri di assegnazione dell‘indennitàdi risultato ai dirigenti in modo da escludere ogni forma di automatismo e di legare il premio al raggiungimento di risultati davvero misurabili, tra cui in testa anche quelli della reale razionalizzazione delle rispettive strutture.

Nei prossimi giorni adotterò più direttive volte a ridisciplinare l’intera gestione degli acquisti di beni e servizi in Presidenza: un settore che presenta ancora talune criticità e che occorre mettere in sicurezza. Lo faremo con l’intento di evitare qualsiasi forma di spreco di risorse e di assicurare un rigoroso controllo su ogni fase della procedura di acquisizione, dalla programmazione, alla verifica della reale consistenza dei fabbisogni, alla scelta della modalità di acquisizione, alla verifica della congruità del prezzo, alla eliminazione di duplicazioni o sovrapposizioni negli acquisti.

Ancora stiamo lavorando al tema degli immobili con l’obiettivo di ridimensionare la spesa per fitti passivi che la Presidenza sostiene: stiamo registrando una collaborazione dell’Agenzia del Demanio e del Ministero della Difesa. Spero non ci sfugga questa occasione.

In ultimo, è necessaria una riorganizzazione della Presidenza del Consiglio che consenta alle strutture di supportare in modo davvero adeguato ed efficace le funzioni di indirizzo e coordinamento dell’attività di Governo che al Presidente sono assegnate dall’art. 95 della Costituzione: in questa prospettiva si impone una matura riflessione sulla mission e sull’assetto organizzativo della Presidenza. Lo stiamo facendo.

Su incarico del Presidente Letta, sta presiedendo la Commissione per l’elaborazione di misure di contrasto alla criminalità e alla mafia. Cosa può anticiparci?

Con i colleghi Raffaele Cantone, Nicola Gratteri e Elisabetta Rosi, nonché con la dott.ssa Magda Bianco e il professore Giorgio Spangher, abbiamo lavorato cercando di rispettare non solo i tempi che il Presidente Letta ci ha assegnato, ma anche lo spirito, quello cioè di formulare concrete proposte di efficace contrasto.

Abbiamo ascoltato le istituzioni e le associazioni impegnate in prima linea nel contrasto alle mafie e nel difficile ma fondamentale lavoro di affermazione e riemersione della legalità nei territori afflitti dalle infiltrazioni criminali (sempre più estesi e ormai non limitati alle tradizionali aree del Sud). Ne è emerso -ancor più robusto di quanto non lo fosse in ciascuno di noi prima del lavoro svolto- il convincimento che è quanto mai necessario irrobustire le politiche di contrasto anche mirando su strategie di intervento innovative, elaborate tenendo conto delle trasformazioni che hanno attraversato il fenomeno mafioso, oltre che delle enormi ed allarmanti dimensioni che lo stesso ha assunto nel nostro Paese. La capacità di infiltrazione delle mafie nel tessuto economico, la sempre più robusta presenza sul mercato di imprese controllate dalle organizzazioni criminali (e la crisi economica che affligge il Paese sta aggravando a dismisura il fenomeno), gli stretti e diffusi legami con le istituzioni (attestati dai numeri allarmanti di scioglimenti comunali degli ultimi anni), impongono una politica di contrasto di tipo integrato che agisca con differenti e convergenti misure, non solo di tipo repressivo.

Un ruolo di primo piano va ascritto al contrasto patrimoniale, in specie al rafforzamento del sistema della prevenzione patrimoniale e delle confische, nonché alla messa a punto del sistema di gestione e destinazione dei beni confiscati di cui occorre assicurare una più adeguata efficienza con l’intento di promuovere la riaffermazione della legalità allo sviluppo dei territori interessati dal fenomeno mafioso.

E’ ancora necessario incidere, anche con innovativi strumenti penali e amministrativi, sulla pervasiva capacità di infiltrazione della criminalità nel tessuto economico legale.

Infine, vanno rafforzate le misure dirette ad incidere sui legami con le Istituzioni, oltre che l’apparato repressivo con un significativo aumento delle pene, con una messa a punto del sistema detentivo speciale e del regime riguardante la gestione dei collaboratori e testimoni di giustizia.

Tutto ciò nella assoluta consapevolezza, peraltro, che nessuna delle misure proposte può dirsi davvero risolutiva in assenza di una riforma complessiva della giustizia nella direzione dell’efficienza e della congrua durata dei processi. Non vi è dubbio, infatti, che la durata media inaccettabile dei processi (anche quelli relativi a reati comuni o, su altro versante, quelli civili) sia il più grande “regalo” che si consegna alle organizzazioni mafiose.