Dirigenza, Riorganizzazione e Spoil System


Una delle tematiche più travagliate della riforma delle pubbliche amministrazioni è stata senz’altro quella riguardante il rapporto tra politica e dirigenza. Basti pensare ai numerosi interventi normativi del legislatore statale in materia di incarichi dirigenziali, nonché alle innumerevoli sentenze della Corte costituzionale che si sono pronunciate sugli stessi. A questo si aggiunga l’abbondante legislazione regionale in materia, stranamente veloce nell’inseguire le peggiori pratiche statali, con la relativa giurisprudenza della Corte costituzionale.

Possiamo quindi misurare l’accesa dialettica tra politica e dirigenza con il numero delle modifiche all’art. 19 del d.lgs. 165/2001 e con il numero delle sentenze della Corte Costituzionale. Essa si acuisce e diventa problematica proprio con l’affermazione della separazione tra indirizzo politico e gestione e l’esigenza fortemente sentita da parte degli organi di indirizzo politico di voler controllare la gestione, non con gli ordinari strumenti di programmazione e di indirizzo politico, ma, con strumenti straordinari di riorganizzazione e di leggi provvedimento. Può sembrare un problema tecnico, solo per addetti ai lavori, ma non lo è. Basti pensare ai danni prodotti da una dirigenza incapace o debole in termini di cattiva gestione, discontinuità amministrativa o mancata programmazione degli interventi. I ritardi nella programmazione e nella spesa dei fondi comunitari nel mezzogiorno, ad esempio, sono spesso frutto di un eccessivo turnover della dirigenza, che impedisce di operare secondo ordinari cicli di programmazione annuale e pluriennale.

Di recente, questo atteggiamento invasivo della politica si è manifestato in maniera paradossale con due interventi legislativi di revirement, volti ad abrogare delle disposizioni di garanzia sui provvedimenti di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali, che erano state da poco introdotte dal legislatore con il d.lgs. 150/2009, il quale aveva tra i suoi principi di delega proprio il recepimento delle pronunce della giurisprudenza della Corte costituzionale (art. 6, comma 1, della legge 15/2009). Con il DL 78/2010 (art. 9, comma 32) viene abrogata la disposizione contenuta all’art. 19, comma 1-ter, secondo periodo, del d.lgs. 165/2001, che prevedeva, in caso di mancata conferma nell’incarico, un’adeguata comunicazione con un preavviso congruo da parte dell’amministrazione; mentre più recentemente con il DL 138/2011, art. 1, comma 18, si prevede che “le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono disporre, nei confronti del personale appartenente alla carriera prefettizia ovvero avente qualifica dirigenziale, il passaggio ad altro incarico prima della data di scadenza dell’incarico ricoperto prevista dalla normativa o dal contratto”. Una disposizione quest’ultima che contrasta con più di una sentenza della Corte costituzionale.

Da ultimo con il DL95/2012 sulla “spending review”, che contempla all’art. 2 il taglio delle dotazioni organiche della dirigenza di prima e seconda fascia del 20 per cento, si prevede al comma 20 dello stesso articolo per la Presidenza del Consiglio dei Ministri la cessazione automatica degli incarichi conferiti ai sensi dei commi 5-bis e 6 dell’art. 19 del d.lgs. 165/2001. Una disposizione, quest’ultima, chiaramente incostituzionale, che mira a far cessare anticipatamente gli incarichi dirigenziali senza il rispetto del principio del giusto procedimento.

Tra le tante, la sentenza della Corte Costituzionale n. 246/2011 ha affermato l’incostituzionalità delle disposizioni che prevedono la cessazione automatica degli incarichi, ribadendo l’illegittimità costituzionale di meccanismi di spoils system riferiti ad incarichi dirigenziali che comportino l’esercizio di «funzioni amministrative di esecuzione dell’indirizzo politico» (sentenze n. 224 e n. 34 del 2010, n. 390 e n. 351 del 2008 e n. 103 e n. 104 del 2007), anche quando tali incarichi siano conferiti a soggetti esterni (sentenze n. 81 del 2010 e n. 161 del 2008). Sotto quest’ultimo profilo, in particolare, con la sentenza n. 81 del 2010, la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 97 e 98 della Costituzione, dell’art. 2, comma 161, del decreto-legge n. 262 del 2006, nella parte in cui tale norma disponeva che gli incarichi conferiti al personale esterno di cui al comma 6 dell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, conferiti prima del 17 maggio decadessero ex lege.

Ma non è stato solo un conflitto combattuto attraverso leggi e sentenze, ma anche attraverso l’utilizzo dei processi di riorganizzazione e i relativi regolamenti e con norme di secondo livello volte a modificare oppure cancellare (quasi mai a dire il vero) posizioni dirigenziali, ma soprattutto a far decadere gli incarichi in essere.

Dal 2001 al 2007 il numero delle posizioni dirigenziali delle amministrazioni centrali dello Stato, secondo i dati del Ruolo unico della dirigenza, proprio nei primi anni di attuazione della riforma del Titolo V, passa da 351 a 503. Al contempo la durata minima dell’incarico dirigenziale viene modificata, addirittura eliminandola in una prima fase, tre volte. Le norme in materia di organizzazione e dotazione organica portano a modificare i regolamenti dei ministeri e a rinnovare gli incarichi dirigenziali mediamente circa 4 volte dal 2001 al 2009. A questo si aggiunga l’effetto di cessazione automatica previsto dalla legge 145/2002. Tutto questo ha portato a numerose modifiche e a rinnovi degli incarichi e soprattutto ad una durata media dei singoli contratti che non è andata oltre i due anni, con grave pregiudizio per l’imparzialità amministrativa e la continuità dell’attività gestionale. Tutto questo mentre a livello di università, regioni ed enti locali si interpreta la normativa sulla dirigenza ritenendo possibile ricoprire tutte le posizioni dirigenziali con soggetti esterni, reclutati a tempo determinato senza alcuna procedura di evidenza pubblica.

Oggi l’art. 2 del DL95/2012 prevede, come è noto, una riduzione degli incarichi dirigenziali pari al 20 per cento delle posizioni vigenti. Taglio che avrà un effetto su posizioni occupate, soprattutto a livello di dirigenza di vertice e che dovrà portare alla scelta di quali posizioni eliminare ed accorpare e quindi modificare con il regolamento di organizzazione, con un evidente effetto sugli incarichi in essere. Dovrebbe essere chiaro che non è legittimo prevedere una cessazione automatica di tutti gli incarichi, ma solo di quelli di cui è stato modificato l’oggetto a seguito della soppressione o incorporazione dell’ufficio. Sia le diverse sentenze della Corte Costituzionale prima richiamate, sia le numerose ordinanze e pareri del Consiglio di Stato (espressi in sede di emanazione dei regolamenti di riorganizzazione) hanno confermato più volte questo principio.

Non può essere quindi la riorganizzazione prevista dalla spending review un’occasione per la politica per operare in termini di spoil system e per far prevalere logiche di fiduciarietà politica a discapito del merito e della professionalità. Fermo restando la primaria esigenza di ridisegnare in maniera più funzionale ed efficiente la macro organizzazione delle amministrazioni destinatarie della norma, deve essere invece necessariamente questa l’occasione per applicare i criteri meritocratici di conferimento sugli incarichi che il decreto legislativo prevede al comma 1 dell’art. 19 e quelli adottati dalla singola amministrazione. Non è solo un problema di legittimità e di contenzioso, che ha visto tra l’altro in diversi casi soccombere le amministrazioni. E’ un problema di scelte manageriali volte a individuare, nella fase più difficile della storia del settore pubblico dal 1948 ad oggi, le competenze in grado di trasformare le nostre amministrazioni in strutture che costino meno e funzionino meglio. Si tratta di riprendere una sfida oggi imposta dalla situazione finanziaria e che venne persa negli anni ’90: realizzare la riforma gestionale e non solo quella normativa della pubblica amministrazione.

Prof. Francesco Verbaro

 

Sentenze della Corte Costituzionale

 

Sentenza 246/2011

http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2011&numero=24

 

Sentenza  81/2010

http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2010&numero=81

 

Sentenza 161/2008

http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2008&numero=161

 

Sentenza 104/2007

http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2007&numero=104

 

Sentenza 103/2007

http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2007&numero=103